domenica 11 novembre 2012

URNA "Larvae" review on Darkroom Magazine



(Brave Mysteries)
Time: (40:00)
Rating : 7.5
Con grande piacere torniamo a parlare del progetto principale dell'italiano Gianluca Martucci, musicista che continua ad esplorare la ritualità antica con uno stile unico, basato su architetture post-industriali ed atmosfere esoteriche e religiose. È l'americana Brave Mysteries ad avere l'onore di produrne il nuovo lavoro, stavolta fissato esclusivamente su nastro per un'edizione limitata a sole 100 copie. I temi vanno ancora una volta a toccare le credenze e i riti, con un occhio di riguardo per l'oriente, il Tibet e il buddhismo; il tutto lega Urna a nomi del passato come Vasilisk e Zero Kama, questi ultimi echeggiati (volente o nolente) già nel pezzo d'avvio "Kangling", segnato da un cupo esoterismo ben sottolineato da toni catacombali e sinistri rintocchi percussivi, e legato ad uno strumento tantrico ricavabile da ossa umane. Come al solito Gianluca unisce una strumentazione nota (flauti, chitarre) ad una più singolare ricavata dalla tradizione folklorica, con l'obbiettivo di generare quell'esotismo oscuro e celebrativo già protagonista dei lavori precedenti, ma forse portato solo adesso alla sua massima espressività. I riverberi solitari da rito ancestrale contraddistinguono la title-track, sorta di colonna sonora per cerimonie misteriose, segnata da raddoppiamenti sonori che sembrano rimandare a tonalità vocali. Ovviamente ha un ruolo di prima importanza il mood tribale teso a strutturare giri ipnotici e funerei, quasi a voler infondere uno stato di trance ossessiva sullo sfondo di un panorama perduto e ignoto: pezzi come "Mu" e "Lha-Mo" ne sono diretto esempio, con riferimenti alle tradizioni culturali e sonore del Tibet. Su tutto incide costantemente anche una matrice dark-ambient, sebbene rivista in una forma assai personale e tesa a mantenere un tocco di oscurità circolare che emerge in vari punti del disco, trovando nel brano "Endura" il suo maggiore risultato. Le sfere demoniache della cultura orientale, con molteplici riferimenti alla figura femminile, vengono citate in tracce come "Murmur" e "Rakshasa", cercando di sviluppare il significato dei titoli con suoni e partiture dai forti connotati geografici e misterici. Non a caso i due pezzi conclusivi "Rakshasa" e "Hannya" (quest'ultimo prende nome da una maschera del teatro giapponese No indicante, ancora una volta, un demone) sono quelli dalle fattezze più mantriche e rituali: il primo è un insieme di picchetìi percussivi raddoppiati e gradatamente accelerati che danno vita ad un suono sottile e cerebrale, tranquillo e celebrativo al tempo stesso; l'altro è un mantra vocale con tribalismi di fondo, dotato di grande effetto scenico ed andamento trionfante, fattori che gerantiscono un finale maiuscolo per un album prezioso e affascinante. Se da un lato la confezione farà la felicità dei feticisti dei nastri, grazie ad una cassetta stampata con grafica di pregio ed un curato inserto a colori, dall'altro il formato e la tiratura ristretta collocano il disco - per l'ennesima volta - in un settore estremamente di nicchia, nonostante le condizioni favorevoli per tentare di raggiungere un pubblico un po' più largo. La qualità c'è, ma manca ancora un'etichetta disposta ad investire di più su un progetto di buon livello e non facilmente catalogabile. Sicuramente uno tra i migliori lavori di Urna, ancora una volta lontano dai soliti schemi.
Michele Viali



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